Il Consiglio (ma quale amore)

Intervento di Sandro Candelora

Mai tanta arte è stata racchiusa in uno spazio così piccolo. Come se il genio creativo, per sua natura ribelle alle vili esigenze della quantità, abbia d’un tratto deciso di coniare una regola della proporzionalità inversa tutta sua, tesa all’essenza. Eliminato l’inutile, il superfluo, il non necessario, resta ciò che realmente conta, esaltato in una sintesi suprema. C’è tutto Perillo, e con lui il suo mondo interiore, in quest’opera che si connota come un’autentica summa esistenziale. Un po’ saggio sentimentale, un po’ racconto breve in controcanto, un po’ trattatello di formazione, finanche indagine psicanalista e poemetto esistenziale, di fatto un vero gioiello cesellato a mano, sotto il soffio potente, dell’ispirazione più alta. In definitiva, un’affascinante elzeviro d’amore. In cui viene distillato sapientemente, sottoposto al vaglio certosino di una squisita sensibilità, l’estratto di un’esperienza artistica che si è fatta vita e di un’esistenza che non è mai stata separata (né mai lo sarà) dall’essere artista. In un superbo crogiolo letterario, in cui ogni parola è pesata e nessuna fuori luogo, ritroviamo schegge di Perillo pittore, con i suoi folgoranti bagliori di assoluto; estratti del Perillo poeta, assetato della verità ultima; interventi del Perillo autore di aforismi, lucido osservatore di una realtà superiore che sfugge ai sensi e si manifesta solo all’anima. Tutte queste sfaccettature, degne di un moderno umanista, sono riassunte in Giacomo (non crediamo proprio che il richiamo a Leopardi sia solo il frutto del caso), il protagonista alter ego dello stesso Perillo, e della voce narrante, che altro non è che ancora Perillo nella veste di un attento esaminatore esterno di se stesso. L’uno e l’altro interagiscono in un duetto spirituale che è appassionato e appassionante viaggio verso la ricerca della piena realizzazione del sé. Che si raggiunge coltivando con pazienza il giardino della propria intimità, bagnando i teneri germogli dei sentimenti e delle pulsioni più pure con la linfa di una costante tensione verso l’alto. Finché non sbocciano, ad ornare la nostra vita, fiori carichi di profumi e colori che si chiamano affinità elettiva, amicizia reale e non presunta, sintonia viscerale e non di facciata, maturo senso della famiglia. E su tutti si staglia la stupenda infiorescenza dell’amore. Vero, nobile e non ingannevole artificio di comodo. Sbocco naturale degli eletti e non ipocrita rifugio dei derelitti. In fondo alla strada, lunga, difficile, continuamente in salita, del nostro perfezionamento ci attende il dono dell’emozione più bella. Sta a noi percorrerla in maniera degna, con la mente ed il cuore bene aperti a recepire l’eterna meraviglia del vivere.

Post-fazione dello storico d'arte Guido Ugolini

Di Mario Perillo, pittore ormai affermato nella considerazione di un ventaglio ampio di estimatori per nulla sprovveduti, si può dire che, nonostante i consensi e gli indubbi successi che gli vengono dalla pittura, dalla sua familiarità e maestria con il colore, il cui linguaggio, personalissimo e inconfondibile, lo ha fatto noto a tanta critica, di Mario Perillo non va però neppur sottaciuto, com’è stato molto spesso per tanti altri artisti, il bisogno fortissimo della parola, di affidare se stesso alla parola: ne è dimostrazione anche quest’ultimo suo scritto. Perché questo bisogno? E’ da intendersi come supporto al linguaggio del colore? E’ espressione autonoma? E’ l’una cosa e l’altra insieme o altro ancora? Non proverò neppure a dare una risposta, ben sapendo che, qualunque essa sia, non soddisferà pienamente me, né, tanto meno, lui, Mario Perillo, per quei tre passi di distanza che, come qualcuno ha detto, sempre e inevitabilmente s’interpongono fra ciascuno di noi e l’altro. Dirò soltanto che per agevolare il lettore e consentirgli di cogliere immediatamente quelli che sono i concetti-chiave del suo pensiero, Mario Perillo evidenzia, a caratteri maiuscoli, parole quali RICERCA, GRANDE VOLONTA’, CONSIGLIO, SOLITUDINE.

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